Parliamo di trasferimento sul lavoro e di come comportarci, se non vogliamo accettarlo o lo riteniamo ingiusto.
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Il trasferimento di sede lavorativa
Il datore di lavoro ha tra gli altri il potere di trasferire la sede lavorativa. Questo potere rientra tra quelli di gestione del rapporto di lavoro che la legge dà al datore.
Tuttavia, per trasferire il lavoratore ad un’altra sede lavorativa, bisogna che sussistano “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive“. Il Codice civile impone infatti questo limite all’art.2103 comma 8.
Quanto diciamo però non vale quando nel contratto di assunzione sia prevista la possibilità di trasferimento ad altre sedi. In questo caso, infatti, il lavoratore ha accettato fin dall’inizio il possibile cambio di sede lavorativa come caratteristica del posto di lavoro.
Ma torniamo al caso generale e all’improvvisa comunicazione di un trasferimento.
Cosa accade se il lavoratore sa per certo che l’azienda non ha reali esigenze produttive od organizzative che giustifichino il trasferimento? Cosa si può fare se il trasferimento è pretestuoso, cioè il datore di lavoro ci trasferisce in una sede magari molto lontana, solo per farci dimettere?
E se il trasferimento è pretestuoso o ingiusto?
La situazione non è così rara. Si trasferisce dall’oggi al domani il dipendente in una sede magari molto lontana, con lo scopo di costringerlo a dimettersi a causa del disagio dovuto alla distanza da casa e/o alla spesa della trasferta.
Tuttavia, anche se questo trasferimento è illegittimo perchè non ci sono i presupposti richiesti dall’art. 2103 c.c., il lavoratore non può rifiutarsi di prendere servizio.
Attenzione: questo non vuol dire che dobbiamo subire una azione illegittima del datore di lavoro senza poterci difendere. Tutt’altro.
Ma è importante muoversi nel modo giusto, altrimenti si rischia di passare dalla parte del torto e di farsi licenziare. Un licenziamento cui non si potrà rimediare, come accaduto nel caso esaminato da una recentissima sentenza della Cassazione.

Un caso emblematico
La Cassazione, con ordinanza n. 4402 del 13 gennaio 2022, spiega che anche se il trasferimento è illegittimo, il lavoratore non può rifiutarsi di andare a lavorare nella nuova sede. Se si rifiuta, il datore lo può licenziare. In tal caso il licenziamento sarebbe legittimo.
Nel caso deciso dalla Suprema Corte, il lavoratore si era rifiutato di adempiere ad un trasferimento ritenuto illegittimo perché gli avrebbe comportato gravi disagi.
Però la Corte ha ritenuto che il rifiuto a trasferirsi fosse motivato da una prova di forza con l’azienda nell’ambito di una trattativa economica, più che dalla illegittimità del trasferimento.
In questo caso il rifiuto è illegittimo perché contrario agli obblighi di correttezza e di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni. Condizioni queste che gravano su entrambe le parti di un contratto.
Una casistica diversa
In un altro caso, trattato invece da questo studio anni fa, una azienda disponeva un trasferimento illegittimo di una lavoratrice. Quest’ultima si rivolgeva al nostro studio.
In effetti il trasferimento conseguiva ad alcune azioni intraprese dalla lavoratrice a tutela delle proprie ragioni, ed era dunque chiaramente ritorsivo. Cioè non era sorretto da valide ragioni organizzative, ed invece nasceva da una condotta aziendale contraria agli obblighi di correttezza e buona fede.
La lavoratrice, consigliata dallo studio, obbediva al trasferimento ma lo impugnava con azione urgente avanti il Giudice del lavoro. Il giudice quindi dichiarava illegittimo il trasferimento e lo annullava, condannando l’azienda a rimborsare alla dipendente le spese legali. Il tutto in circa 20 giorni!
Ma le cose sarebbero andate in modo ben diverso se la lavoratrice avesse rifiutato il trasferimento. Ecco la differenza che fa una strategia consigliata da un esperto.
Dunque come regolarsi?
Nel diritto del lavoro ogni caso è a sé. Non esiste una regola facilmente individuabile, una ricetta sempre valida. Quindi è necessario rivolgersi ad un legale esperto nella materia lavoristica per valutare correttamente la situazione. Un giuslavorista farà al caso vostro e potrà consigliarvi le iniziative più opportune, evitando di pregiudicare la situazione.
Lo Studio Daneluzzi tratta di diritto del lavoro?
Certamente SÌ. L’avv. Chiara Daneluzzi è avvocato giuslavorista e tratta cause e controversie di lavoro sin dal 1999. È membro del direttivo veneto di Avvocati Giuslavoristi Italiani (AGI) dal 2022, la più rappresentativa associazione specialistica del diritto del lavoro, che la certifica come avvocato del lavoro esperto.
Grazie all’esperienza maturata in molte cause di successo, lo Studio può offrirvi sia consulenza che assistervi in giudizio e patrocina ricorsi avanti TAR e Consiglio di Stato, essendo l’avv. Daneluzzi anche Cassazionista.
Potete rivolgervi con totale fiducia allo Studio nelle sedi di Treviso, Venezia e Pordenone oppure, in prima istanza, da remoto.
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